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Questa settimana parliamo di do-ocracy, il governo del fare.
Semplificando moltissimo, è una struttura organizzativa in cui gli individui scelgono un compito e lo portano a termine. Immagina un mondo in cui deliberare non è necessario; un mondo in cui essere flessibili con le cose da fare è positivo; un mondo in cui chi fa, decide (e gli altri non hanno diritto di lamentarsene).
Utopico?
Forse. Un pochino.
Tutto rose e fiori? Assolutamente no!
Nel foglietto illustrativo leggiamo che tra i rischi ci sono:
- Esaurimento (seriamente, clinicamente, gravemente). Le persone si caricano di troppo lavoro.
- Dispotismo (le persone possono farsi prendere dal potere e dare vita a richieste impegnative).
- Frustrazione (per l'incapacità di portare a termine un compito che si è scelto).
- Diverse aspettative su ciò che è equo.
- Esclusione sociale all'interno del gruppo di decisione.
Quindi, come con tutto, non pensare che sia una pillola magica che risolverà ogni problema. Forse qualcuno. Forse nessuno. In ogni caso è utile sapere che le cose possono essere fatte in modo diverso.
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Immaginiamo un modo diverso di fare politica
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Di Alberto Cottica abbiamo già parlato in passato (ma se ti serve una presentazione la trovi nel suo sito). Tra le altre cose, si occupa di politiche pubbliche collaborative e, in questo blogpost, immagina come sarebbe la situazione ideale di una politica collaborativa: "ci siamo accorti che tendiamo a inquadrare la politica come combattimento. Ci sono attacchi, alleati, nemici. I suoi protagonisti si concentrano sul vincere. Questo è comprensibile ma inutile, eccetto forse in quanto intrattenimento. Cosa succede se abbandoniamo questo punto di vista e ne adottiamo uno collaborativo? Cosa succederebbe se un’entità politica fosse gestita come un progetto collaborativo? Se la produzione di leggi funzionasse come Wikipedia? Se le politiche pubbliche fossero implementate come una versione di Apache o Ubuntu?"
Le domande che si pone sono ancora aperte e attuali e lo stimolo di immaginare qualcosa di diverso è già rivoluzionario.
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Parlando di do-ocracy, uno degli esempi che vengono citati più spesso è l'Open Source, in particolare il sistema operativo libero che va sotto il nome di Debian.
Non ti annoiamo con il come e perché di questo progetto (trovi tutto su debian.org), vogliamo invece concentrarci sul modo in cui è stato sviluppato: in pieno spirito do-ocratico. Ne ha parlato Maurizio Napolitano, nel suo elogio funebre per Ian Murdock: "Una regola importante fra gli oltre 1.000 sviluppatori che contribuiscono a Debian è quella della do-ocracy, la fare-crazia ovvero la democrazia del fare".
Ian era il fondatore del progetto Debian e ha lavorato in modo da lasciare il sistema operativo tra la sua eredità: nonostante la morte del fondatore, lo sviluppo non è morto con lui, anzi.
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Se l'idea della do-ocracy ti ha fatto palpitare il cuore, prima di buttartici a capofitto, permettici di raccontarti anche qualche lato negativo. Abbiamo scelto le parole di Paolo Maggauda e la sua presentazione del libro I mille volti di Anonymous: la vera storia del gruppo Hacker più provocatorio del mondo di Gabriella ‘Biella’ Coleman.
"Anche Anonymous, per esempio, ha toccato con mano quella che, già negli anni ’70, la femminista americana Jo Freeman definì come la “tirannia dell’assenza di struttura”, un’ideologia politica basata sulla decentralizzazione delle decisioni, che può però diventare una retorica capace di occultare i veri centri di potere in cui sono effettivamente prese le decisioni importanti (un’idea che calza molto bene all’esperienza del nostrano Movimento 5 Stelle)".
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NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT
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Il signore delle mosche di William Golding, Mondadori
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Cosa ci fanno un gruppo di ragazzini inglesi in un'isola deserta? Come decideranno cosa fare? Come sopravviveranno?
Questo libro parla di questo: democrazia, do-ocracy, rischi, comunità. Chi fa decide, ma non sempre le decisioni sono così virtuose, non sempre fare è sinonimo di bene, non sempre il governo del fare è la soluzione.
Una storia per ragazzi, che parla anche a chi fa civic hacking, se non altro, per metterci in guardia, per farci da monito. Se sei della generazione nata tra il 1985 e il 1995, probabilmente te l'hanno dato da leggere a scuola: rileggilo, ora, pensando al progetto di civic hacking in cui ti stai impegnando. Oppure, pensando alle comunità (virtuali e non) di cui fai parte. Oppure, pensando a quello che hai imparato in questa newsletter riguardo alla do-ocracy.
Se ti piacciono le edizioni particolari, nel 2016 Mondadori Ragazzi ha lanciato un'edizione brossura con una copertina di Gipi a dir poco spettacolare.
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Buona lettura!
Erika e Matteo
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Ps. come sempre, se trovi qualcosa di interessante a tema #CivicHackingIT, segnalacelo su Twitter.
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