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Questa pagina è una copia di archivio della newsletter di #CivicHackingIT.
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Comunità, ne parliamo?
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Più di qualche volta abbiamo parlato di comunità; abbiamo coperto vari aspetti tra cui l'informalità, l'identità, le relazioni (con la Pubblica Amministrazione, con le altre comunità, ecc.). Una cosa di cui non abbiamo (quasi) mai parlato è il ruolo delle comunità per chi fa civic hacking. Alleati? Nemici? Amici? Collaboratori? Come si decide di rapportarsi con le comunità - locali o meno - (spesso) decreta la buona riuscita o meno di un progetto. E non parliamo solo di civic hacking.

Matteo, per un periodo, ha fatto il community manager per un'azienda, che l'ha portato a chiedersi: ma siamo sicuri che l'approccio "gestionale" sia quello giusto? Dall'altra parte, è tutto un fiorire di comunità: sembra che bastino due persone per fare "comunità" (totalmente dimentichi della complessità della comunicazione tra gli umani e della necessità di un terreno comune per il fiorire delle povere fragili - ma vere - comunità).

Oggi parliamo di vari stadi della vita di una collettività di persone con un interesse in comune. Ovviamente saltiamo a piè pari il come si viene a formare una comunità perché, come per molte altre nascite, un minimo di mistero non fa male. Parleremo, comunque, di come farle crescere, di come monitorarle, di come valutarne lo stato di salute e di un paio di altre cosette.

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Le stiamo perdendo!

Dottore, ma il paziente come sta?

Valutare lo stato di salute di una comunità più o meno informale è piuttosto difficile: quali sono i criteri? Quali sono i valori medi?
Data la natura cangiante e mutevole delle comunità queste due domande - all'apparenza piuttosto banali - faticano a trovare una risposta che vada bene per tutte. Purtroppo, per sapere come sta una comunità non basta misurarle la febbre. Un buon punto di partenza, però, è cominciare a fare caso alla "struttura" sotto le persone che, a quanto pare, è molto più facile da identificare.
"Per noi, una comunità è un tipo di organizzazione che riunisce le persone e
le fa sentire parte di qualcosa. Idealmente, dà loro un’identità e loro la
condividono con orgoglio. E offre anche una struttura per fidarsi di più l’uno
con l’altro, per supportarsi di più l’uno con l’altro, per collaborare di più e per
costruire relazioni più significative" è quello che dicono gli autori di Community Canvas, ossia qualcosa che ti permette di fare un check-up del paziente (ossia della comunità di cui fai parte). Non è come un'operazione a cuore aperto, ma è un inizio.

Una flebo, presto!

Resilienza è una di quelle parole usate in lungo e in largo; tutto deve essere resiliente: il nostro corpo, i paesi in cui viviamo, le aziende in cui lavoriamo e anche le comunità che frequentiamo. A forza di sentirlo dire, ci si è sviluppato un riflesso pavloviano, solo che, invece di sbavare come cani addestrati, ci prende un po' la voglia di dire "anche basta!".
Come altre parole che hanno avuto la sfortuna di arrivare a fare parte dei titoli dei giornali, il momento di gloria di resilienza è un po' sfumato e - al momento - la troviamo usata un po' a casaccio a destra e a manca. Ecco perché ti consigliamo un blogpost di qualche anno fa dell'Accademia della Crusca, in cui viene spiegato perché e per come la parola non è solo una parola di moda: " l'esplodere di un uso più disinvolto di resilienza si data intorno al 2011: da allora il sostantivo – insieme al corrispondente aggettivo resiliente – circola sui media cartacei e digitali, cavalcando la particolare attrattiva 'metaforica' che è in grado di esercitare. [...] Il contrario della resilienza è la fragilità, che caratterizza invece materiali dotati di carico di elasticità molto prossimo alla rottura. Resilienza non è quindi un sinonimo di resistenza: il materiale resiliente non si oppone o contrasta l’urto finché non si spezza, ma lo ammortizza e lo assorbe, in virtù delle proprietà elastiche della propria struttura".

Qualcuno porti una lastra...

"L’attivismo civico e le comunità funzionano molto bene quando si tratta di portare all'attenzione e fare lobby su tematiche in genere nuove e dalla forte valenza innovativa ed etica. Con gli Open Data è andata esattamente così. Ma quando qualcosa comincia ad attecchire, l’attivismo civico comincia a guardare avanti, ai passi successivi, ad obiettivi più impegnativi che possano consolidare e magari far crescere quanto iniziato. Sono obiettivi che richiedono, però, una PA matura e consapevole del proprio ruolo, che dovrebbe essere quello di migliorare costantemente la governance di questi processi" dice Vincenzo Patruno per Agenda Digitale. Uno dei problemi del definire il ruolo di una comunità è proprio legato alla dimensione temporale: da una parte le comunità rispondono a bisogni dell'oggi, dall'altra hanno, spesso, uno sguardo spostato indietro o avanti rispetto all'adesso. Quindi che si fa? Se hai una risposta, saremmo ben felici di leggerla.

NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT

Il condominio di James Graham Ballard, Feltrinelli Editore

Quanto si sta bene nelle nostre comunità di riferimento? La gente con cui parli ti capisce, non devi perdere tempo a spiegare cose che ti sembrano scontate e hai un qualche tipo di ruolo. Abbiamo scelto questo romanzo (che trovi anche in formato epub) per ricordarti che non è proprio così.
Robert Laing si trasferisce in un modernissimo (e attrezzatissimo) condominio di Londra. Ognuno ha - letteralmente - il suo posto e nessuno sente l'esigenza di uscire dalla piccola comunità, se non per andare al lavoro. Ovviamente, le cose non possono durare così, altrimenti di che scriverebbe l'autore? Cambiano le dinamiche e la totale mancanza di contatti con l'alterità (ossia il "fuori" dal condominio) trasformano gli abitanti in qualcos'altro. Non vogliamo dirti altro, per non rovinarti la lettura, ma, come puoi intuire dalla copertina, non è una lettura per stomaci deboli. Sicuramente noi ci penseremo la prossima volta che ci riterremo così fortunati da far parte degli agglomerati di persone con cui ci identifichiamo.
Buona lettura!

Erika e Matteo
 
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