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Questa pagina è una copia di archivio della newsletter di #CivicHackingIT.
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Resistere alla gentrificazione
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Passeggiando per il centro di Trento, dove abitiamo, abbiamo notato un fiorire di B&B (ossia, Bed and Breakfast): ce ne sono più di venti in una manciata di stradine che sono pedonali o parte della zona a traffico limitato. Visti i prezzi esorbitanti degli affitti del centro storico, temiamo sia uno dei primi segnali di gentrificazione: chi ha la casa di proprietà, ci fa dei lavori, l'affitta per brevi periodi (ripagando così i costi dei lavori) e, nel momento di venderla, la mette nel mercato come casa di pregio. Ovviamente, sono tutte speculazioni, ma ci sembrano conclusioni realistiche.
Di per sé, aprire un B&B non è un'azione discutibile. Quando, però, nella stessa zona ne vengono aperti a decine, beh lì un po' ci preoccupiamo.

Gentrificazione, dicevamo. "Cos’è la gentrificazione e da dove arriva[.] Il termine 'gentrificazione' è un’italianizzazione della parola inglese gentrification, inventata nel 1964 dalla sociologa Ruth Glass per descrivere quello che stava succedendo a Londra in quartieri operai come Islington, dove a partire dagli anni Sessanta si trasferirono molte persone delle classi più agiate. La parola deriva da gentry, che in inglese significa 'piccola nobiltà'. Nei decenni successivi, la gentrificazione è stata un fenomeno sempre più comune ed evidente, che ha interessato molte grandi città europee ed americane. È stata ampiamente studiata da urbanisti e sociologi, che hanno proposto spiegazioni diverse e complesse, che però spesso sono diverse da nazione a nazione e da città a città" scrive Il Post. E il civic hacking? Ovviamente, se cambia il tessuto sociale di una città, cambiano anche le sue esigenze: che il fenomeno ci piaccia o meno, porterà con sé un numero imprecisato di problemi concreti da risolvere, quindi il civic hacking - e la sua attitudine nei confronti dei problemi concreti - c'entrano eccome.

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ABBIAMO FATTO UN ERRORE! La scorsa settimana abbiamo parlato di una certa Lucia Corbolante. Se l'hai cercata, il motore di ricerca ti avrà corretto con Licia Corbolante. Ha ragione! E sapere che la newsletter viene letta - anche se grazie alla segnalazione di un errore - fa sempre piacere.

Ma quali abitanti?

Temporanei

"Immagino conosciate tutti la piattaforma Airbnb, no? Magari avete anche già avuto modo di cominciare ad utilizzarla. La nonna anziana vi ha lasciato in eredità una mansarda in centro e voi avete pensato bene di affittarla ai turisti che vengono a visitare la vostra città. Piuttosto che tenerla vuota (o, diciamolo, affittarla a studenti o giovani coppie) è molto più comodo darla per qualche giorno ai turisti. È molto più redditizio, il turista dopo qualche giorno va via e la mansarda ritorna nelle vostre disponibilità". Vincenzo Patruno, in questo blogpost, racconta con delle mappe colorate perché la situazione non è così semplice. Anzi.
Se ti viene da ribattere che quello è il Salento e non fa testo, Vincenzo ha messo sotto la lente d'ingrandimento anche le strutture in Sicilia: "Se prendiamo in considerazione tutta la Sicilia, gli host che gestiscono più di 10 alloggi sono lo 0.7%. Anche in questo caso abbiamo provato a metterli su mappa e questo è il risultato. Ogni colore corrisponde ad un host diverso ed è interessante vedere i luoghi dove questi host che a questo punto potremmo considerare “professionali” lavorano. Le zone più luminose corrispondono infatti a quelle a più alta densità turistica e la mappa qui sotto può essere vista benissimo come la “mappa del turismo” in Sicilia (lo so, in questa immagine nn si vedono le isole Eolie ecc...)". Alla faccia di nonna.

Che se ne vanno

Gli abitanti cambiano la fisionomia di un posto, la gentrificazione ne è un esempio: chi non può più permettersi una certa zona se ne va (o viene cacciato) e quartieri popolari si trasformano in zone residenziali. A volte, però, gli abitanti se ne vanno per altri motivi: la mancanza di servizi, la scomodità o, semplicemente, la lontananza. Un problema, soprattutto per le amministrazioni.
"Un quarto della popolazione e tre quinti del territorio. Sono 2 milioni di persone che vivono su 51mila chilometri quadrati, in Comuni interni, distanti, periferici, isolati, luoghi aspri, incontaminati. Comuni italiani, piccoli sì. Ma rivoluzionari. Dalla Val Bormida all’Alta Irpinia, dall’Alta Marmilla al Gran Paradis, dall’Oltrepo Pavese al Basso Sangro, dall’Alta Carnia alla Grecanica. E mentre c’è chi divide et impera, questi frammenti sparpagliati d’Italia, da nord a sud, si uniscono per risolvere problemi: spopolamento, consumo distruttivo del suolo, indebolimento dei servizi per la salute, l’istruzione, la mobilità e la viabilità. Settantadue aree progetto, autorganizzate, una media di quindici comuni ad area, 30 mila abitanti ciascuna" ci informa Francesca Fradelloni per Left. Continua raccontandoci di zone che resistono alla spopolamento, senza scadere nella gentrificazione.

Smart

Non parliamo di smart city perché "la Smart City come è concepita oggi (un concetto di marketing inventato dai technology vendors che forniscono i servizi) non funziona. E se ne sono accorti in tanti. [...] Perché se la Smart City non parte da uno scopo sociale chiaro, non è che una marea di sensori e dashboard. Costosissimi, che non dialogano tra loro, che offrono servizi la cui utilità è dubbia". Queste parole sono di Francesca Bria intervistata da Laura Traldi. Anche essere smart city è un segno di gentrificazione, se le città e le loro amministrazioni non si immaginano in relazione con chi quelle città le vive.
"Democrazia partecipativa significa dare la parola ai cittadini su questioni spesso complesse. Il mondo si divide tra chi pensa sia una buona idea e chi invece la ritiene pessima… «È un’idea pessima se si pensa a una Facebook democracy: un luogo in cui ognuno dice la sua senza un vero scambio di informazioni né un dialogo costruttivo. È invece una buona idea se fa parte di un progetto più ampio, che parte dalla volontà politica di riavvicinare cittadini e istituzioni. Favorendo la partecipazione informata, la trasparenza, lo scambio di idee, la creazione di un’intelligenza collettiva. A Barcellona abbiamo una piattaforma per la democrazia partecipativa, che si chiama Decidim, dalla quale sono nate o si sono sviluppate il 70% delle azioni di governo. Ma non è una democrazia solo online. Esiste anche un dipartimento multi-disciplinare comunale che si occupa di formare e informare i cittadini, organizzando corsi gratuiti, eventi aperti, assemblee di quartiere. Perché una Smart City non può esistere senza Smart Citizens. [...] Decidim è costruita con un software libero e non di proprietà di un’azienda. E quindi è totalmente trasparente (e chi ci lavora deve attenersi a un Codice Etico definito dalla municipalità). Inoltre Decidim appartiene alla gente, non a un partito politico o a una srl. In ultimo, la sua architettura è scalabile, configurabile e integrabile su altri strumenti e app senza però che alcuna manipolazione di dati, né algoritmica, sia possibile. Non sono dettagli. La questione tecnologica è fondamentale quando si parla di sovranità dei cittadini. E la prima domanda da porsi è: come sono costruite le piattaforme? Se sono di proprietà di qualcuno e non della collettività c’è qualcosa che non va»".

NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT

Ripensare la smart city di Francesca Bria e Evgeny Morozov, Codice 

Quello che Francesca Bria e Evgeny Morozov fanno in questo saggio (che trovi anche in formato epub) è farsi una domanda etica: che cosa significa per una città essere davvero smart, al di là dei messaggi pubblicitari? Questo comporta una serie di altri quesiti: chi ha la sovranità dei dati? Che ruolo hanno i cittadini? Che spazio c'è per le tecnologie nelle città? Che ruolo hanno le piattaforma di partecipazione digitale? Non si tratta di adottare più gadget, più tecnologie, più [mettici l'idea che più ti sembra adatta]...
Queste riflessioni sulle smart city sono (anche) una risposta alla gentrificazione: un posto in cui si ha investito, non solo denaro, ma anche capitale sociale, tempo e risorse personali, lo si sente sicuramente più proprio. Ci si sente più responsabili, in un certo senso.
Buona lettura!

Erika e Matteo
 
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