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Ultimamente stiamo facendo più attenzione al rapporto tra potere e civic hacking. Quando parliamo di potere non intendiamo una cosa intangibile e segreta che sta nei palazzi del potere, appunto; intendiamo una cosa molto concreta che abbiamo trovato spiegata molto bene in un pezzo di Joshua Tauberer che abbiamo tradotto un po' di tempo fa.
"Il potere è a somma zero. Se vuoi che un particolare gruppo ne abbia di più, lo devi togliere a qualcun altro. Sono due lati della stessa moneta. Le persone a cui vuoi togliere potere, se lo lasceranno sfuggire? Come reagiranno alla tua idea? Quelle persone devono essere parte del tuo processo decisionale, quanto le persone che vuoi abilitare. [...] La tecnologia è disponibile solo per chi se la può permettere (e ha il tempo di usarla). Se le persone a cui ti rivolgi sono come te, la tua idea potrebbe molto tranquillamente esacerbare problemi per persone meno ricche di te. Chi stai cercando di aiutare? Ci sono problemi concreti al mondo. Le minoranze vengono uccise per aver scelto i vestiti sbagliati. I poveri trascorrono ore infinite a compilare moduli per i programmi di assistenza. I costi per le cure mediche mettono continuamente sul lastrico persone che sono semplicemente state sfortunate. Questi americani sarebbero felici di avere il privilegio del tempo per discutere le politiche nazionali. Hai riflettuto se il problema che stai cercando di risolvere è quello giusto?
Ma… Non tentare di risolvere problemi che non hai avuto senza avere a che fare con persone che qui problemi ce li hanno davvero. Ogni tanto qualche riccone se ne esce con un’app per i senzatetto: non fare quell’errore, qualsiasi sia il campo di cui ti occupi."
Questa settimana partiamo dall'accessibilità - un problema informatico o di design - per provare a seminare alcune idee che, forse, frutteranno nel tuo prossimo progetto di civic hacking.
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Da provare sulla propria pelle
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Nell'ultimo atto di civic hacking che hai fatto, quante persone disabili hai coinvolto? E in quello prima? Te lo chiediamo perché, spesso, c'è una specie di muro invisibile e (in)volontario tra una categoria e l'altra (lo diciamo essendo perfettamente consapevoli che nessuno è solo una delle caratteristiche palesi o meno che ha). Se non ne hai coinvolta nessuna, ci hai almeno pensato? Nel caso le risposte siano nessuno-nessuno-no, ti lasciamo un paio di video su ipovedenti e barriere architettoniche per stimolarti le prime riflessioni, uno di Bari e uno di Londra.
Dopodiché, la comunità di OpenStreetMap mappa con una certa regolarità le barriere architettoniche delle città. Qui ti riportiamo parte dell'esperienza di Alessandro Saretta in occasione di FOSS4G-IT 2019, raccontata nel blog di Wikimedia Italia. "OpenStreetMap, grazie alla sua flessibilità, si presta molto bene a raccogliere elementi utili per mappare l’accessibilità. Il punto di partenza è la tag wheelchair yes/no che si può applicare a qualsiasi elemento, dalle strade agli edifici, per segnalare la possibilità di accedere o circolare senza rischi in sedia a rotelle. [...] Ci sono poi tantissimi altri elementi rilevanti che si possono mappare, dalla larghezza (width) alla tipologia di superficie (surface) dei marciapiedi o delle strade alla presenza di scivoli (kerb), specificando anche la loro pendenza. [...]Una volta registrati sulla mappa libera, i dati sono liberamente accessibili a tutti, ma anche aggiornabili in modo semplice e piuttosto economico. Inoltre – essendo riutilizzabili per tutti gli scopi, compresi quelli commerciali – possono servire a sviluppare applicazioni in grado di restituire in modo semplice e intuitivo le informazioni a chi può averne bisogno."
Però non ti illudere, questo è solo l'inizio.
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Una domanda come "chi stai abilitando?" è astratta, sembra lontana anni luce dalla realtà. A una presentazione, l'abbiamo sentita declinata sul codice ("siete sicuri che il codice che state scrivendo non sarà usato per armi o con finalità militari?"), ma è ancora una storia astratta, ipotetica, distante.
E se ti raccontassimo di mestruazioni, app e dati decisamente sensibili che vengono venduti ai datori da lavoro? Fantascienza?
"Come milioni di donne, anche la 39enne di Los Angeles Diana ha utilizzato quotidianamente un’app per il ciclo mestruale, registrando dati relativi a fertilità, rapporti intimi, farmaci assunti e umore. [...] Ma a monitorare quei dati così sensibili non era sola. Anche qualcun altro li controllava regolarmente: il suo datore di lavoro, che ha pagato i gestori dell’app per conoscere le sue abitudini e discriminarla. A scoprire la nuova frontiera della cessione dei dati personali è stato il Washington Post che con un’inchiesta di Drew Harwell ha lanciato un nuovo e più sconvolgente allarme sulla privacy dei lavoratori. Il quotidiano americano ha messo sotto accusa l’app Ovia che negli Stati Uniti, con oltre 10 milioni di utenti, è diventata un potente strumento di monitoraggio per i datori di lavoro e gli assicuratori sanitari, che sotto la bandiera del benessere aziendale hanno spinto in modo aggressivo a raccogliere più dati sulla vita delle lavoratrici" non sono parole di un libro di sci-fi, anzi le puoi leggere tra le pagine de Il fatto quotidiano. L'inchiesta del Washington Post rilanciata dal giornale italiano è ancora più fantascientifica: CEO che smentiscono di invadere la privacy, dati scambiati manco fossero figurine e corpi umani visti come miniere d'oro. Lettura per stomaci forti, ti avvisiamo.
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"Google e il Centro Clinico NeMO lanciano una call per progetti tecnologici innovativi che utilizzino la tecnologia di Google Assistant per semplificare la vita delle persone con malattie neuromuscolari" annuncia con un certo orgoglio il sito disabili.com. Che c'è di male? Alla fine, è una bella iniziativa. Può darsi, ma lasciare questo tipo di idee in mano solo ad aziende private crea un gap, anche se non ce ne rendiamo conto immediatamente. Mettiamola così: da una parte lasciamo ad entità concentrate sul profitto l'onere di migliorare la vita delle persone, dall'altra creiamo cittadini di serie A e di serie B (hai mai pensato a cosa succede alle persone che non si possono permettere certi strumenti proprietari?). Non stiamo dicendo che iniziative come questa siano il male assoluto, ma che - esattamente come con le app per le mestruazioni - se ci occupiamo di queste cose, ci sono lati oscuri da tenere in mente.
Ecco perché ti consigliamo un'ultima lettura in inglese che parla specificatamente di civic hacking e accessibilità.
"The concept of civic hacking using 21st century tools to make our communities better or solve problems definitely applies to disabled accessibility issues. Here are four potential Next Steps for civic hackers in NE Wisconsin or elsewhere to consider in the realm of disabled accessibility.
- Research disabled accessibility issues to identify (a) major needs of disabled people nationally and in NE Wisconsin, (b) relevant local, state and federal open data or non-open data, (c) existing resources, apps and assistance for disabled people, and (d) all the existing civic hacking projects working on that topic. Parts of this information will be available in reports from state, federal or private organizations; other parts will be scattered across numerous websites. This is a great civic hacking project for non-coders to work on because there is a mountain of research needed that requires no coding skills.
- Recruit disabled people as civic hackers to work on this type of project because they’re the people who best know the challenges they face, the existing resources and what types of civic hacks would be most useful to them.
- Recruit as civic hackers people who are very knowledgeable and passionate about resources for disabled people, whether that involves mobility or some other type of disability."
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NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT
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Bartleby lo scrivano e altri racconti di Herman Melville, Bompiani
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Bertleby è un burocrate che risponde a un annuncio di lavoro e finisce a Wall Street. Di potere, lui, non ne ha nemmeno un po', almeno a prima vista. Scialbo, indifferente e rassegnato fa il suo lavoro, ma non chiedetegli niente di più perché con miriadi di sommessi "preferirei di no" vi seppellirà fino a che non lo lascerete in pace, nella sua indifferenza. In questo romanzo - ti consigliamo l'edizione Bompiani perché è la più recente, ma ce ne sono svariate in giro - la cosa che colpisce di più è la frustrazione di chi si trova davanti una resistenza, per quanto passiva.
La voce di Bertleby non sappiamo quale sia: tutto ci viene raccontato dal suo datore di lavoro, che è in una posizione in cui il potere c'è, per quanto poco. Questo è una storia di stranezza, di resistenza, di accidia, ma, di contro, anche di potere, di rappresentazione e di speranza.
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Buona lettura!
Erika e Matteo
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Ps. come sempre, se trovi qualcosa di interessante a tema #CivicHackingIT, segnalacelo su Twitter.
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