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Nonostante parecchie definizioni di civic hacking mettano al centro la tecnologia, noi preferiamo un altro approccio. Da qualche parte abbiamo scritto che il civic hacking è un "modo personale per dire 'mi interesso di questa cosa e sfrutto quello che so per trovare una soluzione'", ma anche "hacking è una qualsiasi innovazione amatoriale su un sistema esistente, ed è un’attività profondamente democratica. Si tratta di pensiero critico. Si tratta di mettere in discussione il modo comune di fare le cose. È l’idea che si vede un problema, si lavora per sistemarlo, e non ci si lamenta soltanto" e da un'altra parte ancora "fare civic hacking significa (anche) occuparsi di tecnologia, ma non è mai l’obiettivo principale".
Tutto questo in teoria, ma in pratica se quello che sai fare non ha niente a che fare con la tecnologia? Puoi davvero dire di essere "civic hacker" se non usi un computer? E se sei un'artista, puoi usare il cartellino "civic hacker"?
Questa settimana proviamo a raccontarti di alcune persone che sono civic hacker, anche se non si definiscono tali. Alcuni di loro aggiungono cose alle loro città, altri le tolgono, ma tutti si prendono cura dello spazio pubblico che è anche loro. Definirli artisti si può - non entriamo nella discussione di cosa fa di un artista un artista -, definirli civic hacker si deve.
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Una cosa che viene, una cosa che va
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Com'è la tua città? Hai mai fatto caso a quanti simboli di odio ci sono sui muri? Irmela Mensah-Schramm sì: è tedesca, ha una certa età e quasi tutti i giorni esce di casa armata di raschietto e acetone per strappare etichette con messaggi di estrema destra e cancellare simboli neonazisti dai muri della città in cui vive.
"Tutto è iniziato negli anni Ottanta a Berlino. Stavo andando al lavoro e alla fermata dell’autobus mi sono accorta di un adesivo che chiedeva la libertà di Rudolf Hess [uno degli uomini più influenti del terzo Reich]. Hess era in carcere per crimini di guerra, ma per i neonazisti era una sorta di martire. Una volta salita sull'autobus ero impietrita e non riuscivo a non pensare di aver visto qualcosa di estremamente sbagliato. Qualcosa che non poteva stare lì. Ci ho pensato tutta la giornata, promettendomi di passare a staccare quell'adesivo prima di tornare a casa. Da quel giorno è come se fosse scattato qualcosa, e mi sono resa conto di quanti messaggi di questo tipo ci siano in giro [...] ho iniziato a notarli, è stata una cosa un po’ graduale. Di certo non sapevo che l'avrei fatto per più di trent'anni" dice in un'intervista per Vice.
Se preferisci i video, ti linkiamo un'intervista al regista di The hate destroyer - il documentario che parla di lei - e anche il trailer.
Non farti ingannare, le cose non sono tutte rose e fiori: oltre alle minacce e alle intimidazioni, la signora riceve anche periodiche denunce e segnalazioni alle forze di polizia (l'ultima volta di cui si ha notizia è di appena qualche giorno fa), a dimostrazione del fatto che prendersi a cuore i problemi non sempre è facile.
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Ti fa passare la fame, ti fa venire la fame
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A Verona c'è un artista che riempie i muri di graffiti raffiguranti cibo. Niente di nuovo: muri, bombolette, graffiti. Se non fosse che Cibo, il graffitaro in questione, con frutta e pasticcini ci ricopre svastiche e altri simboli di odio, dichiarando che è suo dovere civico e che si limita all'area in cui vive perché è giusto che negli altri posti lo facciano altri (il che è un po' una delle cose che diciamo anche delle azioni di civic hacking). In un'intervista per Artribune racconta del suo lavoro: "nella street art ho trovato una forma di espressione che mi permette di veicolare messaggi importanti ad un grandissimo pubblico. Sono consapevole della temporalità dei miei interventi e che potranno essere deturpati. Non è un problema a meno che non venga rovinato da scritte o simboli fascisti: in quel caso ritorno e modifico il mio soggetto. Penso sia un messaggio importante che viene trasmesso perché l’arte e la bellezza vinceranno sempre sull'odio". Ne hanno parlato anche vari mass media, tra cui il telegiornale della Rai.
Nemmeno per lui le cose sono sempre andate lisce. Leggiamo ne La Repubblica, "molti Comuni, si capisce, non gradiscono. 'Sono ovviamente sempre amministratori di destra. Mi sono appena tolto quattro denunce: ho dimostrato il mio disappunto perché un sindaco voleva 3.700 di tasse su un mio murale. Una multa pretestuosa e ideologica'". Anche lui civic hacker senza saperlo.
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Il sesso come insulto? Non se ne può più!
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Vicino a Cagliari qualcuno pensa che per offendere una donna bisogna descriverla come passiva in un rapporto sessuale in cui c'è qualcuno di un'etnia diversa dalla sua. Vicino a Cagliari qualcuno pensa che questo pensiero di altissima filosofia (se non hai colto il sarcasmo, sappi che è lì che ti aspetta) vada espresso sui muri. Vicino a Cagliari qualcuno pensa che va bene tutto, ma di alcune cose si può fare a meno. Tipo di scritte sessiste e razziste sui muri.
Gianna Melis è una giornalista che si è fatta portavoce dell'iniziativa: sostituire un'obbrobrio con un bellissimo murale. "Tutto è nato in modo molto improvviso e naturale, [...] «quella strada la percorro frequentemente quando sono in Sardegna e da luglio ho notato quella scritta che ogni volta che passavo mi faceva bollire il sangue, perché la ritengo offensiva non solo nei confronti di Carola ma proprio verso tutte le donne. [...] Doveva però essere un gesto politico, doveva essere un’azione di sole donne che, oltraggiate da quella scritta, decidevano di reagire. Allora ho iniziato a sentire, tramite i social, donne amiche che condividessero gli intenti, soprattutto che sposassero il principio e, sorprendentemente, nel giro di pochissimi giorni non solo ho trovato un gruppo di donne disponibili a cancellarla ma ho trovato anche Nina Castle che si è proposta di sostituire quell'abominio con un magnifico disegno»" racconta ai microfoni di Unica Radio. L'artista che ha realizzato il disegno si chiama Nina Castle e ha raccontato com'è andata in un blogpost.
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NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT
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L’una e l’altra di Ali Smith, edizioni SUR
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Francesco è un pittore, o meglio una pittrice che veste con abiti maschili, del Quattrocento. George una ragazzina londinese contemporanea. A parte il nome maschile, sembrano non avere niente in comune, ma Ali Smith ci smentisce alla grande. In questo romanzo le storie si intrecciano anche a distanza di secoli, di chilometri e di competenze. In entrambe le novelle che compongono questo libro c'è una riflessione sul potere e sulla relazione che può avere con l'arte; sono due storie che parlano di donne, ma anche di uomini.
Francesco e George non hanno un ordine nel libro: per volere dell'autrice alcune copie raccontano prima di George poi di Francesco, altre viceversa. Questo contribuisce a vedere la trama in maniera diversa, a vedere il prendersi cura di arte e cosa pubblica in maniera diversa, ma, soprattutto, a mettere in discussione tutto quello che credevamo di sapere.
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Buona lettura!
Erika e Matteo
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Ps. come sempre, se trovi qualcosa di interessante a tema #CivicHackingIT, segnalacelo su Twitter.
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