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Di Code for America abbiamo già parlato in passato, perché tornare sull'argomento? Quello che volevamo dire, lo abbiamo detto, no? La risposta è che lo abbiamo fatto solo in parte. Quando ci troviamo a parlare di civic hacking, le iniziative americane (ma anche quelle inglesi) suscitano sempre la stessa reazione: perché non lo facciamo anche in Italia?
Già, perché?
Nel numero che abbiamo dedicato a Code for America ci siamo - volutamente - concentrati sulla globalità del civic hacking. Questa idea non è cambiata: sbirciare altrove permette di non bloccarsi sul 'tanto non si può fare' (hai mai notato quanto spesso questa sia la risposta per qualsiasi cosa?). Però, pensare di travasare - che si parli di piante o idee è lo stesso - senza adattare, modificare e dedicarci un'attenzione speciale è la ricetta per il (potenziale) fallimento. Se anche le piante muoiono quando cambiano casa, perché le idee - che sono infinitamente più complesse - non dovrebbero? O meglio, alcune non avranno problemi (ad esempio, l'idea di manutenzione urbana collaborativa attraverso piattaforme di segnalazioni dei cittadini ha attecchito bene sia in Gran Bretagna che in Italia), altre non sopravviveranno al travaso (la succitata Code for America in Italia non trova terreno fertile, come ci hanno raccontato Matteo Fortini e Matteo Tempestini). 'Perché non farlo anche in Italia?' è l'equivalente di comprare una pianta di basilico e non farle prendere nemmeno un piccolo raggio di sole.
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Facciamolo anche in Italia!
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"A quanto pare Microsoft, con una mossa spettacolare, ha creato una nuova policy per 'permessi civici' che permetterà ai loro impiegati di lavorare per il Governo per un massimo di 18 mesi. Bravissimi!"
Se questo tweet di Emily Tavoulareas ti ha fatto pensare che ci vorrebbe anche qui, in italico suolo, beh... In teoria, siamo d'accordo con te. In pratica, ci viene in mente Piacentini, l'ex commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda Digitale italiana. Nel 2016 dichiarava a La Stampa "Dopo tanti anni lontano dall’Italia - spiega - ho deciso di tornare con in mente una forma di restituzione al Paese: darò una mano al Governo nel processo già avviato di trasformazione digitale e di contribuire alla semplificazione della relazione tra la Pubblica Amministrazione, i cittadini e le imprese". Nel 2018, a fine mandato, sul palco di EY Capri Digital Summit 2018 ha dichiarato, invece, che lui e il Team per la Trasformazione Digitale hanno spostato la montagna di pochi metri. Cosa è andato storto? Questo non lo sappiamo, quello che possiamo dirti è che 'forma di restituzione al Paese' suona tanto come il give back, un concetto parecchio noto agli statunitensi, ma senza nessun equivalente in italico suolo.
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Matteo Fortini e Matteo Tempestini sono due civic hacker italiani che, nel passato, hanno detto: perché non facciamo Code for America in Italia? Al contrario di molti di quelli che si trovano a dire questa frase, loro ci hanno provato davvero a fare Code for Italy. Abbiamo deciso di fare loro qualche domanda, per non cadere della retorica 'qui le cose non funzionano' senza aver verificato davvero.
"[Fortini] Sì, lo ammetto, anche noi abbiamo provato a fondare un Code for America in Italia. Perché lo volevamo fare? Volevamo cercare soluzioni a problemi che impattano sulla società con strumenti il più possibile aperti, sia come software, che come dati. In più, cercavamo una struttura leggera, ma che potesse avere un minimo di autonomia finanziaria (in parole povere: un modo per riconoscere impegno, tempo e competenze, quando si va oltre al volontariato). [...] Una cosa che non avevamo considerato - e si è rivelata essere un altro vicolo cieco - è stata la possibilità di accedere a finanziamenti privati: in Italia, i fondi privati delle fondazioni vengono dedicati soprattutto alla cultura, alla salute, al benessere, al sociale, all’ambiente, ma non abbiamo trovato, nemmeno chiedendo in giro, alcun soggetto disposto a finanziare con un investimento consistente un lavoro legato al settore pubblico, ai dati aperti e al software libero. Ad esempio, la fondazione Nesta, che nella versione inglese ha un filone sulla Government Innovation, in Italia si è focalizzata su cultura, arte, educazione, salute e sulle comunità inclusive e sostenibili, ma non sulla collaborazione con la Pubblica Amministrazione.
[Tempestini] Secondo me, l’Italia avrebbe bisogno di Code for America nella misura in cui si vuol fare sistema e capitalizzare gli sforzi di miglioramento delle Pubbliche Amministrazioni attraverso la sperimentazione tecnologica. E ne avrebbe bisogno per riproporre soluzioni già sperimentate alle PA in difficoltà. E ne avrebbe bisogno per dare una veste a tutti quei cittadini che vogliono darsi da fare e dedicarsi a progetti di pubblica utilità. [...] Abbiamo davvero bisogno di un Code for Italy? Progetti come TerremotoCentroItalia, ad esempio, hanno avuto una valenza locale e nazionale senza che ci fosse un 'ente' di questo tipo. E sono già riusabili da chiunque."
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Da dove viene la fascinazione italiana per gli Stati Uniti? C'è la narrazione hollywoodiana che contribuisce in maniera massiccia, ma...
Se ti dicessimo che, in parte, è colpa di un gruppo di intellettuali del Dopoguerra? "C’è stato un tempo in cui in Italia era vietato diffondere la cultura americana. Se abbiamo accolto e attraversato stili e correnti espressive, in narrativa come in musica, lo dobbiamo ad una donna di cui si parla troppo poco. Lei, appena ventenne, tra il 1937 e il 1941, infischiandosene dei divieti fascisti, si avvicina ad autori ignoti nel Belpaese e dà loro voce e spazio. Parliamo di Fernanda Pivano, professione traduttrice, o se volete, libera pensatrice e divulgatrice culturale. [...] Comincia tutto negli anni Trenta: in un Paese (l’Italia) dove imperano il perbenismo, la morale, la negazione, una ragazzina assetata di conoscenza non ha nient’altro di meglio da fare che leggere e fare domande. Scopre che dall'altra parte dell’oceano gli artisti raccontano gli esseri umani, la nostalgia, la sconfitta, l’amarezza, la caducità dell’esistenza. Come spesso accade, i percorsi che compiamo sono il risultato della generosità altrui. Fernanda Pivano, genovese, studentessa al liceo classico Massimo d’Azeglio di Torino, ha infatti un professore speciale. Nell'anno scolastico 1934-1935 Cesare Pavese è supplente di italiano nella sezione B e tra i suoi alunni c’è anche Fernanda". Come sempre, ti consigliamo di leggere tutto il blogpost di Marina Bisogno per L'indiependente.
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NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT
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Anche noi l'America di Cristina Henríquez, NN
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Maribel Rivera è la protagonista di questo romanzo (che trovi anche in formato epub). Non è una civic hacker, non usa il computer e non è statunitense. Quindi perché suggerirti di immergerti in questa particolare bellissima storia? Con la sua disabilità e il suo essere messicana Maribel è un pesce fuor d'acqua nel Delaware, dove mamma e papà l'hanno portata. Aggiungici pure che è una di quelle bellezze da far girare la testa e la frittata è fatta.
I suoi genitori, quando hanno deciso di lasciare la loro casa, si immaginavano l'El Dorado, per trovarsi di fronte alla dura realtà: il lavoro promesso è ai limiti della schiavitù, l'appartamento in cui vivono una topaia e la figlia non fa i progressi che ci si aspetta. Il 'dovremmo farlo anche qui', quando è applicato al civic hacking, è un po' come i genitori di Maribel: non importa quanto l'autrice sia brava a descriverli, la loro cantonata è la cosa che più ci resta in mente di loro. Questo romanzo, come quella frase, però, è il vessillo per un sacco di altre cose, non ultima l'idea che se tutto fosse andato per il verso giusto, ci saremmo persi una storia straordinaria.
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Buona lettura!
Erika e Matteo
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Ps. come sempre, se trovi qualcosa di interessante a tema #CivicHackingIT, segnalacelo su Twitter.
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