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Quella che stai leggendo è una newsletter: una comunicazione da parte nostra che ti arriva ogni settimana. Noi ne curiamo i contenuti pensando a te e agli altri lettori, poi ognuno ci fa un po' quello che vuole: c'è chi la apre, chi la condivide sui social, chi clicca sui link. Qualcuno la inoltra. Qualcuno non la legge, ma resta comunque nella lista di persone a cui fa piacere che questa newsletter esista. Quando abbiamo capito che il civic hacking aveva bisogno di essere raccontato un po' di più, soprattutto in italiano, questo specifico modo di farlo ci è sembrato il più adatto: d'altra parte, quando sono fatte bene, anche a noi ricevere comunicazioni nella casella email piace parecchio. Anzi, le newsletter fanno proprio parte della nostra dieta informativa (anche se siamo parecchio selettivi e il "quando sono fatte bene" è una tagliola feroce).
Oggi vogliamo raccontarti di alcune persone che hanno deciso di sfruttare questo modo di raccontare le cose, non segnalandoti altre newsletter a cui iscriverti, ma mostrandoti cosa c'è dietro le quinte quando si decide di raccontare numeri, dati, tecnologia e affini (comunque, alle altre newsletter che citiamo, iscriviti!). In pratica, oggi leggerai una meta-newsletter (una newsletter che parla di newsletter): nonostante il parolone non spaventarti!
Ps. Hai visto che abbiamo un PayPal per la newsletter? Ci piace che sia gratis, ma se la leggi volentieri, quello è un buon modo per farcelo sapere.
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Immagina una pipa su sfondo azzurro.
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Il fatto di essere in due da questa parte delle quinte, di solito, confonde - chi ci legge, mica noi. Per questo motivo, Erika ne ha scritto un po' di tempo fa. "Abbiamo un calendario editoriale di massima (che aggiorniamo ogni sei/otto settimane): ci mettiamo gli argomenti che vogliamo coprire, gli eventi interessanti, i blogpost che vogliamo scrivere, le traduzioni che devo fare io, i goal settimanali per il libro. Gli argomenti delle newsletter li riportiamo nel Trello, in una scheda con la data di scadenza [... dopodiché succedono altre cose: cerchiamo i link, li selezioniamo, scegliamo un libro] le proposte, però, sono di entrambi: due cervelli sono comunque meglio di uno. Scrivo i testi e impagino la newsletter. Se ti piace il tono della newsletter, beh, grazie: è merito mio. Se non ti piace, è sempre merito mio. In questa fase, mi preoccupo anche di tutti i microtesti collegati: titolo, sottotitolo, tweet automatico, una cosa che si chiama “social cards” (una funzione di Mailchimp che ti permette di personalizzare l’anteprima per i social della newsletter). Matteo fa il controllo finale."
La nostra è una newsletter di content curation, il che significa che il suo valore sta nel fatto che entrambi raccogliamo e valorizziamo cose che riteniamo rilevanti. "Cosa cambia rispetto a scrivere da soli? Far parte di una redazione, come di fatto questo progetto è, è più semplice, ma anche più complesso, rispetto a lavorare da soli. Più semplice, perché due cervelli sono meglio di uno. Più complesso, perché due cervelli sono meglio di uno".
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Come lo fa una giornalista
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Carola Frediani è una giornalista prestata alla cybersecurity. Ha scritto svariati libri (ne abbiamo anche messo uno in un numero della newsletter) e a luglio del 2018 ha lanciato una newsletter.
"Quando ho deciso di lasciare il giornalismo come professione — poiché mi ero stufata di una serie di storture del sistema mediatico italiano, e non avevo voglia di emigrare — ho lanciato in contemporanea una newsletter settimanale, Guerre di Rete, che ogni domenica seleziona e analizza notizie e storie di cybersicurezza, politica e Rete, sorveglianza, cybercrimine, diritti digitali, intelligenza artificiale, il tutto in chiave geopolitica o comunque il più possibile globale" dice in un post che racconta come fare informazione con una newsletter.
"Negli ultimi tempi si è scritto e letto molto del risveglio o riscoperta della newsletter, che in fondo è una sorta di matusalemme della comunicazione digitale. E penso che il suo merito principale sia proprio quello di essere anticiclica: stramazzati dalla quantità di update, app, tweet, video, post, notifiche e notizie che ci inondano quotidianamente, la newsletter ci fa respirare perché affonda chirurgicamente nel rumore di fondo, ed estrae una piccola oasi di ordine, semplicità, senso e tranquillità. Soprattutto, elimina il superfluo, le distrazioni, la caciara, le esche visive e i flash emotivi."
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Come lo fa uno spettatore
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EJO (l'osservatorio europeo sul giornalismo a cura dell'Università della Svizzera italiana di Lugano) una newsletter ce l'ha, ma noi ancora non l'abbiamo letta. Ci siamo iscritti (vabbé, abbiamo abbondantemente curiosato tra gli ultimi blogpost prima di inserire il nostro indirizzo email) per via di un pezzo di Elisabetta Tola sulla necessità di ripensare il data journalism. Si tratta di un pezzo piuttosto appassionato, ma la cosa più interessante è che ci porta dietro le quinte di un mestiere considerato ancora piuttosto strano, quasi incompreso.
"Ho fatto la ricercatrice per molti anni prima di passare al giornalismo. Quando ho conosciuto il data journalism quasi 10 anni fa, pensavo di aver trovato la combinazione perfetta per me. Immaginavo di poter mettere insieme il mio approccio e pensiero scientifico con le mie capacità giornalistiche per produrre un tipo di informazione che fosse, soprattutto, utile. Ma a distanza di alcuni anni, vedo che spesso i dati finiscono per essere usati in modo decorativo – una bella mappa o una infografica per riempire una pagina, senza contesto e dando alle persone pochi mezzi per approfondire gli argomenti. A complicare le cose, i media sono spesso la fonte di un alto grado di confusione tra fatti, ipotesi, teorie e opinioni, denotando una scarsa conoscenza del modo in cui i fatti e le informazioni possono e devono essere convalidati. [...] Probabilmente sono ingenua, ma questo è esattamente quello che mi aspetto dal giornalismo: la capacità di offrire una informazione di alta qualità al servizio della democrazia; di connettere, collegare e contestualizzare. Così mi sono messa a cercare studi e ricerche sulla qualità del data journalism. Sono partita da una ipotesi precisa, basata sulla mia esperienza ma anche su una mia percezione: con qualche eccezione, e ce ne sono di importanti, il data journalism generalmente non ha mantenuto la promessa originale di aiutare a leggere la realtà in un modo più approfondito e corretto." Insomma, sembra una pipa, ma non la puoi fumare.
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NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT
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Il mestiere di scrivere di Luisa Carrada, Apogeo Education
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Una cosa che questa newsletter ha in comune con molte altre è che ti arrivano soprattutto parole. C'è un po' di grafica (sfondo, impaginazione, divisione in blocchi, colori), ma niente di centrale. L'abbiamo voluta così fin dall'inizio, volendo mettere al centro proprio il testo.
La colpa - o il merito - della scelta va anche alla lettura di questo saggio (che trovi anche in formato epub) in cui Luisa Carrada racconta cosa vuol dire scrivere parole che verranno consumate da persone come te, come noi. Non sappiamo dove leggerai questa nostra newsletter, ma sappiamo dove leggiamo noi quelle che ci arrivano: sugli autobus, treni e altri mezzi di trasporto; su sedie scomode mentre aspettiamo alla posta; su sedie comode mentre aspettiamo medici o dentisti; vicino a panini o altri piatti della nostra pausa pranzo; vicino a casse rumorose e affollate per non infilare nel carrello quelle barrette al cioccolato e in altri posti in cui gli autori di quei testi non si immaginavano andassero a finire.
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Buona lettura!
Erika e Matteo
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Ps. come sempre, se trovi qualcosa di interessante a tema #CivicHackingIT, segnalacelo su Twitter.
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