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Questa pagina è una copia di archivio della newsletter di #CivicHackingIT.
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Parliamo di cosa significa fare  monitoraggio
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Hai visto che abbiamo un PayPal per la newsletter? Ci piace che sia gratis, ma se la leggi volentieri, quello è un buon modo per farcelo sapere. Franco ha deciso di farlo e, se questa newsletter ti arriva, oggi è grazie a lui.

Abbiamo deciso di aprire questo numero con un ringraziamento perché, dopo quasi tre anni di uscite settimanali, abbiamo deciso di trasformare questa newsletter in mensile. In parte perché l'impegno settimanale è troppo pressante in questo periodo, in parte perché non è più sostenibile per noi (e sì, parliamo anche di denaro). Per farci perdonare è più ampia del solito: l'argomento è più largo, i testi più lunghi e i link più numerosi. Leggila con calma, non te ne manderemo altre fino a metà maggio.

Ultimamente abbiamo visto ricerche di untori, ronde di quartiere, vicini che avvisano le forze dell'ordine di presunte violazioni delle regole, sindaci e sindache che sgridano i propri concittadini (pur allegando numeri che dimostrano che quei cittadini invece le regole le rispettano), app senza capo né coda e altri fenomeni che sembrano monitoraggio, ma non lo sono. Vogliamo condividere con te alcune scintille che ci hanno fatto attivare i pensieri su folla, monitoraggio e dintorni.

Torniamo nella tua casella email il 16 maggio!

E che è?

Siamo tutti guardie?

Partiamo con un tweet di Donata Columbro del 26 marzo. Dopo l'annuncio del comune di Roma di un sistema unico di segnalazione contro i gruppi sospetti di persone, Donata ha reagito così: "Ciao, qui #Roma, Stato di Polizia con invito ai cittadini di farsi sentinelle dell'ordine pubblico. 
Alieni e aliene se mi leggete prelevatemi ORA."
Pur partendo dal presupposto che i cittadini possono - anzi devono - collaborare alla gestione della cosa pubblica e i sistemi di segnalazione dal basso, quando vengono usati bene, sono un ottimo strumento (come dimostra l'esperienza di mySociety e FixMyStreet), di fronte all'iniziativa romana non possiamo che condividere la reazione di Donata. Fossimo un pochino più cattivelli aggiungeremo che non è partecipazione civica, né Open Government, ma sarebbe come urlare al vento.
Una parte del nostro fastidio è vocalizzata da Wolf Bukowski in una coppia di post sul decoro, il controllo e l'autocontrollo (parte uno e parte due). Non ti mettiamo nessun estratto perché sono righe dense, ma se vuoi passare qualche minuto a mettere in discussione alcune dinamiche di potere che si stanno svelando in questo periodo, i due post sono ottimi punti di partenza.
Puoi continuare la riflessione con un contributo di Luca Sofri per Wittgenstein che chiude così: "Stiamo diventando – un pezzetto alla volta, piano piano – più intolleranti, più desiderosi di intransigenza, più inclini alla disciplina imposta con le cattive, e senza andare per il sottile.
Senza pensarci troppo.
È normale, certo. È motivato, spesso. È bene?
Voi fateci caso".
Se dopo averli letti non ti troverai d'accordo, va bene lo stesso: almeno avrai esercitato il tuo spirito critico.

Lo stai facendo male

"Nell’accezione negativa sono gli spioni. Ma per edulcorare il concetto, visto il fine nobile di preservare la salute pubblica, li chiamano anche 'segnalatori civici' del web. Cioè quelli che sull’onda dell’#iorestoacasa stanno segnalando alle forze dell’ordine chi trasgredisce le restrizioni stringenti dei vari decreti" scrive la redazione di Lettera 43. Il fatto è che non c'è niente di civico, per quanto sia comica la denuncia della signora preoccupata del marito che va a fare la spesa con il frigo pieno. Non è civico perché non è caratteristico dei cittadini, anche se sembra di sì. E non è nemmeno civile perché non porterà a un governo migliore della cosa pubblica, anche se sembra di sì.
Trasformare il governo in una guerra, anche attraverso il linguaggio, non è la soluzione, "il gergo militaresco e l’insistente visione bellica non aiutano ad affrontare l’emergenza da un punto di vista psicologico e cognitivo, e se non ci aiutano come individui di certo non ci aiutano come società" scrive in un articolo ricco di esempi Matteo Pascoletti per Valigia Blu.
Il gergo militaresco alimenta uno stato di paura in cui rischiamo di vederci erodere i nostri diritti senza farci nemmeno troppo caso. Sui diritti digitali, Valigia Blu ha tradotto un blogpost di Matthew Guariglia e Adam Schwartz di Eletronic Frontier Foundation che vale la pena leggere. Apre così: "[n]el mondo le autorità sanitarie stanno lavorando per contenere la diffusione di COVID-19 (la malattia da Coronavirus). Nel perseguire questo compito urgente e necessario, molte agenzie governative stanno raccogliendo e analizzando informazioni personali su un gran numero di individui identificabili, tra cui dati riguardanti la loro salute, i loro spostamenti e le loro relazioni. Mentre la nostra società cerca il modo migliore per minimizzare la diffusione di questa malattia, dobbiamo prendere in considerazione attentamente l’impatto sulle nostre libertà digitali degli strumenti di contenimento che usano 'big data'. Gli sforzi straordinari messi in campo dalle agenzie di sanità pubblica per combattere la diffusione di COVID-19 sono giustificati. Nel modo digitale così come in quello fisico, le politiche pubbliche devono essere il risultato di un bilanciamento tra il bene collettivo e le libertà civili al fine di proteggere la salute e la sicurezza della nostra società da epidemie di malattie trasmissibili. Tuttavia, è importante che ogni misura straordinaria utilizzata per la gestione di una crisi specifica non diventi una presenza fissa nel panorama delle intrusioni governative nella vita quotidiana".
Sui diritti civili è interessante vedere cosa sta succedendo con la scusa dell'emergenza a diritti perfettamente legittimi e che non dovrebbero essere così complicati da esercitare. Ti lasciamo un paio di approfondimenti che parlano di aborto e ti riguardano anche se non hai le ovaie. Il primo l'ha scritto Francesca Visser per openDemocracy (ha un taglio più di testimonianza, ma è pienissimo di link e rimandi), il secondo Elisa Messina per ioDonna ed è un po' più divulgativo.

Lo stai facendo bene

Nel nostro quotidiano non dividiamo il tempo in prima e dopo: per noi che scriviamo questa newsletter non c'è un mondo del pre e uno del poi, ci sono il presente e i cambiamenti che porta con sé e una prospettiva futura che ancora non esiste. Non arriviamo a vederla come il Maestro Oogway di Kung Fu Panda, ma è innegabile che, almeno per noi, immaginare e sognare cose basate sul passato in questo momento è un po' controproducente. "Immaginare il futuro serve a modellarlo, ma la materia di cui è composto ha la stessa consistenza delle nostre speranze e delle nostre paure" scrive Federico Bo in un blogpost in cui riflette sull'impatto che il digitale ha e avrà a causa dell'emergenza sanitaria (e non pensare costantemente a un futuro non significa non volerlo progettare, ma questo è un altro discorso, che forse è più adatto a una cena con un bicchiere di vino).
Tra le cose che apprezziamo da mo' c'è l'uso responsabile dei dati. La comunità di Open Data Sicilia ha tradotto un thread di Lizy Diamond su mappe, visualizzazioni e responsabilità narrativa. Ha analizzato varie mappe, concentrandosi in particolare su quella della Johns Hopkins University nera con i pallozzi rossi sulla diffusione del virus (che è stata usata come sfondo in varie conferenza stampa anche dei politici nostrani).
"Onestamente, però, non riesco a capire del tutto che cosa sta cercando di mostrare o di raccontare questa mappa. Mostrare i casi confermati aggregati per stato o nazione non mi sembra una cosa molto utile. Piuttosto, che andamento hanno i casi nel tempo? Come potremmo visualizzare questo andamento? E le statistiche normalizzate per popolazione?
[...] Sono consapevole che questi dati sono recenti e non sappiamo di preciso quanto siano affidabili, e so che è importante ottenere quante più informazioni possibile, che ci aiutino a capire che cosa sta succedendo. [...] Un consiglio generale: quando si aggregano dei dati, bisogna per forza di cose rimuovere dettagli e sfumature. È nostra responsabilità, come cartografi, assicurarci di farlo in modo responsabile ed etico, in particolare condividendo la metodologia che adoperiamo e spiegando i risultati che otteniamo".

Se l'idea che esistano cittadini monitoranti (per davvero, non quelli di cui abbiamo parlato in apertura) ti è nuova, abbiamo dedicato un numero intero qualche tempo fa proprio a loro. Cosa fanno concretamente? Un esempio è OpenLitterMap, un database interattivo e accessibile della spazzatura del mondo. I dati che popolano la mappa sono raccolti in modalità crowdsourcing (che è una parola inglese per dire che le persone creano e immettono i dati, in questo caso le segnalazioni) e servono a creare consapevolezza. L'idea di fondo è che creando conoscenza (dati) si possano cambiare le politiche e le scelte anche a livello istituzionale. Sembra utopico, ma, se fatto bene, ci sono esempi che dimostrano che è un processo che può funzionare (a partire da FixMyStreet di cui abbiamo già parlato). In Italia, un ottimo abilitatore di cittadini monitoranti è Monithon (ne abbiamo parlato in un altro numero). A gennaio hanno creato MoniTutor, una guida completamente online e interattiva per il monitoraggio civico: "[s]i tratta di una serie di domande e suggerimenti – sviluppati dalla redazione di Monithon grazie a numerosi esperti scelti tra gli 'amici' di Monithon o intervistati ad-hoc su temi specifici – che guidano il team di monitoraggio nelle loro attività. [...] Inoltre, sulla base dell’ambito tematico del progetto (trasporti, beni culturali, innovazione, etc.), la guida presenta una serie di suggerimenti specifici su documenti da leggere, siti web da navigare, persone da contattare e una griglia con le domande da porre, basata sull’esperienza e sulla conoscenza di una rete di esperti. La guida contiene anche i nomi, le email e gli indirizzi per contattare le Autorità di Gestione dei Programmi Europei, grazie a dati raccolti da noi da fonti ufficiali, e gli indirizzi dei vari soggetti con un ruolo attivo nel progetto scelto, quando sono disponibili negli open data di OpenCoesione". Te la segnaliamo perché i cittadini che monitorano come vengono spese le risorse di tutti ci piacciono parecchio e anche perché ci siamo un po' stufati di vedere sottolineati fischi per fiaschi.

NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT

Sarah's Scribbles. Crescere, che palle! di Sarah Andersen, Becco Giallo

La protagonista di queste strisce (che ritroviamo anche in Un grosso morbidoso bozzolo felice e Tutto sotto controllo!) è una ragazza che ha fatto delle sue quattro mura il suo regno e il suo rifugio. Goffa, strana e deliziosamente domestica non è adatta al glamour: non la troverai con i capelli acconciati in morbide curve o il trucco perfetto, ma avvolta in una coperta abbracciata al letto oppure in una maglia a righe che ha visto tempi migliori. Sono pagine leggere, ma intelligenti che mettono in pace con il mondo, soprattutto se anche tu sei una persona un po' strana. Diciamocela tutti, nessuno di noi è un adulto fatto e finito, perché, come recita il titolo in inglese, adulthood is a myth (la maturità è una leggenda).
Buona lettura!

Erika e Matteo
 
Ps. come sempre, se trovi qualcosa di interessante a tema #CivicHackingIT, segnalacelo su Twitter.
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Questa mail ti arriva perché ti interessa aggiornarti sul civic hacking in Italia e le sue connessioni (con qualche occasionale spunto dall'estero). La newsletter nata nel 2017, il blog su Medium e il libro (in scrittura) sono curati da Erika Marconato e Matteo Brunati.
 
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