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Da quando ci hai letti l'ultima volta, sono successe un sacco di cose (perfino una nuova installazione di Bansky). Una delle più rilevanti è che abbiamo passato la metà del 2020 e abbiamo cominciato a realizzare che tra le persone che conosciamo c'è di nuovo un senso di futuro. Quindi oggi parleremo di quello e di cosa resterà nel fantomatico "dopo".
Tra i link che non ce l'hanno fatta a entrare nel corpo ciccioso di questa mail, c'è il programma di State of the Map 2020 di inizio luglio. Te lo mettiamo qui: scorrilo, vedi se c'è qualcosa che ti interessa e curiosa nei link nominati "session pad" in cui, a volte, c'è anche una registrazione audio delle presentazioni, oltre alle domande delle varie sessioni.
Un altro link che ti lasciamo in apertura parla di web decentralizzato, un vecchio pallino di Matteo. "Flashy (and free) apps like Facebook herded users into vast closed networks of value capture, effectively launching the modern age of the social media and advertising paradigm. But with all that social interaction and web tracking has come censorship problems, privacy abuses, and more political consequences — all of which are a product of centralized data control.
Grassroots projects like Tor and BitTorrent were pushed to the background during the meteoric rise of the likes of Google and Amazon. And it wasn’t until Satoshi Nakamoto reignited a decentralized and cypherpunk ethos with his release of the Bitcoin Whitepaper that the movement towards decentralized grasped a foothold again" scrive Evgeny Ponomarev per presentare il Decentralized Web Developer Report 2020. Se ti sembra interessante, sai come approfondire!
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Cosa resterà di questo 2020?
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Come tutte le emergenze, anche quella che stiamo affrontando in questo 2020 porta con sé il problema dei diritti. A quanti diritti e libertà siamo disposti a rinunciare, pur di aiutare la collettività? Da gennaio, abbiamo collettivamente dimostrato di poter rinunciare al diritto alla libertà di movimento, per esempio. Siamo stati obbligati a rinunciare alla libertà di circolazione. Alcune persone hanno dovuto, loro malgrado, rinunciare al diritto di vivere in un posto sicuro. E poi?
"Nel mondo le autorità sanitarie stanno lavorando per contenere la diffusione di COVID-19 (la malattia da Coronavirus). Nel perseguire questo compito urgente e necessario, molte agenzie governative stanno raccogliendo e analizzando informazioni personali su un gran numero di individui identificabili, tra cui dati riguardanti la loro salute, i loro spostamenti e le loro relazioni. Mentre la nostra società cerca il modo migliore per minimizzare la diffusione di questa malattia, dobbiamo prendere in considerazione attentamente l’impatto sulle nostre libertà digitali degli strumenti di contenimento che usano 'big data' " scrivono Matthew Guariglia e Adam Schwartz di Eletronic Frontier Foundation in un pezzo tradotto da Valigia Blu (l'avevamo già citato in aprile, ma sottolinea dei punti molto importanti).
Una parte della discussione pubblica sui diritti digitali è stata polarizzata dall'app Immuni. "Immuni è operativa. Dopo una prima fase di test in quattro regioni, il 15 giugno l’app di contact tracing ufficiale del governo italiano è stata attivata in tutta Italia. Disponibile per Android e iOS, Immuni dovrebbe contribuire a tracciare i casi di possibile contagio tra la popolazione. L’app tiene traccia di tutti i contatti avuti dall'utente nelle precedenti due settimane e, se una delle persone con cui ha interagito viene segnalata come positiva al coronavirus, lo avverte del possibile rischio e fornisce alcuni consigli su come comportarsi.
Il lancio di Immuni arriva dopo mesi di indiscrezioni e discussioni, influenzate anche da un complicato contesto internazionale. Una questione centrale di questo dibattito ha riguardato la privacy: le app di contact tracing richiedono di raccogliere e inviare molti dati personali, che potrebbero rivelare informazioni sensibili sugli utenti che le installano, tra cui gli spostamenti effettuati o le persone incontrate. Alcuni di questi dati vengono persino condivisi con chiunque si trovi nelle vicinanze - inclusi sconosciuti, curiosi e malintenzionati. Ciò richiede che il protocollo usato per gestire il flusso di dati sia progettato con estrema attenzione alla sicurezza e alla protezione dei dati degli utenti" scrivono Andrea Gadotti e Simone Benazzo per Valigia Blu. Anche a noi che scriviamo queste righe sono arrivate delle segnalazioni, sia di discussioni tecniche che di cose un po' più frivole (come questo fumetto di Nicky Case, tradotto in italiano da Matteo Fogli). L'idea che ci siamo fatti è che rinunciare a dei diritti è un processo pericoloso, con dei precedenti storici che ci inquietano, quindi che non si faccia a cuor leggero è un buon segno.
Diritti, da non confondere con lo spirito civico e civile. Ad esempio, a Bologna un tassista si è reso disponibile per fare le consegne gratuitamente nella fase di lockdown. Il che è un grandissimo gesto da ottimo cittadino, ma non ha rinunciato a nessuno dei suoi diritti.
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"Rendere gli Open Data pubblicamente disponibili nel formato corretto è cruciale, soprattutto in tempo di pandemia. Per la prima volta [...], gli Open Data ricoprono un ruolo fondamentale nelle priorità nazionali e internazionali e sono presentati come risorse basilari per permettere all'intelligenza collettiva di affrontare questa crisi. [...] Una cosa è certa: un robusto ecosistema dei dati è necessario non solo per affrontare questa pandemia, ma anche per tutte quelle che verranno" scrive in un blogpost in inglese Lucia Chauvet dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico.
Da un certo punto di vista, i "dati sono arrivati in tv in prima serata, sulle nostre chat di whatsapp, li abbiamo attesi alle 18 come il messaggio del fidanzato, abbiamo cercato di capirli e usarli per prendere decisioni quotidiane. Se andare a fare la spesa oppure ordinarla online, se tornare a lavorare in ufficio o continuare da casa, se indossare la mascherina per strada, e molto altro. Quei dati influenzano la nostra vita presente e futura: il lavoro che abbiamo o non abbiamo più, le scuole che (non) riaprono, come sarà il rapporto con la nostra famiglia a distanza, se il turismo sarà ancora quello di prima, e così via. Solo che a trattare tutti questi dati, a comunicarli, a capirli, non eravamo pronti" scrive Donata Columbro nella newsletter di Domitilla. E continua buttandosi a capofitto nel problema dell'erosione di fiducia generata da dati (semi)farlocchi. "[...] Per molti mesi le Regioni infatti hanno fornito dati disomogenei: un guarito in Lombardia non aveva lo stesso significato che nel Lazio. Come si può fermare una pandemia se non ci mettiamo neanche d’accordo sulle parole che descrivono i numeri? E non parliamo di come quest’ultimi ci sono stati comunicati: chi li mandava solo in pdf, altri solo via social. A febbraio nemmeno la Protezione civile pubblicava questi dati nel formato migliore, cioè quello aperto, non in pdf quindi ma libero e processabile dai nostri computer per essere riutilizzato. Un gruppo di attivisti si è dovuto mobilitare facendo un’azione prima para-legale per scaricarli automaticamente e poi finalmente ha convinto la Protezione civile a rilasciare giornalmente i dati nel formato migliore" (ne avevamo parlato anche lo scorso numero, in caso).
Dopo qualche mese di questa esposizione quotidiana a dati e visualizzazioni, "quanto ci è rimasto di tutto questo? Qual è il modo corretto e utile di contestualizzare una notizia che arriva sotto forma di numero? Che gioco ruolo giocano l’effettiva disponibilità dei dati e la trasparenza da parte delle amministrazioni?" si è chiesta Elisabetta Tola per Radio3Scienza.
Questa esplosione di dati e dashboard (che non riguarda solo l'Italia, come dimostra il lavoro di Global Investigative Journalism Network) ha riportato in superficie problemi antichi, in primis, che i dati da soli non significano trasparenza, come ha velocemente realizzato Isaia Invernizzi. Il giornalista ha raccontato il lavoro dietro una mappa nazionale dei contagi per L'Eco di Bergamo: "avere i dati dei contagi in tempo reale avrebbe permesso di individuare per tempo alcuni focolai e prendere contromisure fondamentali. Non è stato possibile nel momento dell’emergenza vera, quando migliaia di persone hanno riempito le terapie intensive degli ospedali. Non è possibile nemmeno ora che il peggio sembra essere passato e sarebbe molto importante evitare un’eventuale seconda ondata. Se la Protezione civile si è impegnata a raccogliere ed aprire i dati principali che fotografano l’andamento quotidiano dell’epidemia, non lo stesso si può dire delle Regioni. Ognuno ha deciso di far da sé: c’è chi ha pubblicato fin da subito tutti i dati a livello comunale, chi ha integrato le pubblicazioni nel corso delle settimane, chi invece non ha deciso di tenere tutto chiuso. A liberare i dati più interessanti ci hanno pensato molte esperienze civiche sul territorio, da Nord a Sud. [...] Anche e soprattutto la gestione dei dati durante l’epidemia ha dimostrato che l’Italia deve fare ancora molta strada sul tema della trasparenza". In altri lidi, abbiamo analizzato il fenomeno che ha un nome - open-washing - e una ragione specifica: i dati generano conoscenza e la conoscenza genera potere, ma non ci inoltreremo ulteriormente nei meandri delle dinamiche di potere legate ai dati.
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Mai come in questo periodo si è parlato di sanità pubblica, di dati sanitari, di fallimenti gestionali del sistema sanitario nazionale. Però, per alcuni i dati sanitari sono una cosa personale. Ne sa qualcosa Salvatore Iaconesi, co-autore di La Cura, una performance multimediale legata al suo personalissimo tumore al cervello (ne abbiamo parlato qualche tempo fa). Nel 2020 ha ricominciato a riflettere, con un tempismo che sembra calcolato, su cosa significa essere malati: ne ha scritto in una serie di blogpost per OperaViva in cui parla di abitare, tragedia e conoscenza, ma anche di dati e arte (e un po' anche di Immuni e di futuro). Ti consigliamo di leggerli tutti, con calma e riflettere sulle domande nascoste tra le righe. "Qual è la soluzione giusta? La soluzione 'giusta', intesa come soluzione unica di tipo 'industriale' — ovvero applicabile nella stessa forma in quantità industriali di casi — non esiste. Siamo, purtroppo, molto abituati ad immaginare i grandi processi come catene di montaggio industriale. Senza un vero motivo che ci obblighi a farlo, in realtà. I modelli economici del passato hanno avuto un tale effetto sulla nostra cultura che è diventato ormai difficile riuscire ad immaginare qualcos'altro. [...] La transizione verso il nuovo secolo costituisce una trasformazione anche in questo senso.
Nel nuovo millennio, fatto di reti, dati e computazione (come l’intelligenza artificiale), la nostra cultura e la nostra attitudine e capacità di immaginare cambierà. Questa trasformazione è già in corso, e man mano che tutto quello che ci circonda si trasforma in una rete, e noi stessi acquisiremo la tendenza a interpretare tutto quello che abbiamo davanti sotto forma di reti. E alla base di ogni rete c’è la diade, la relazione tra due soggetti, tramite cui si possono costruire tutte le altre. Per questo, se l’industria era basata sui concetti stessi dell’estrazione e della separazione, la rete è fondata sul concetto di relazione.
L’industria è fondata sul concetto di terapia — la somministrazione amministrativa di un trattamento standard — . La rete è fondata sul concetto di cura — lo stabilire una relazione in cui ci si prende cura l’uno dell’altro, personalizzando — . [...] Nella Rete il concetto di Relazione diventa fondamentale" scrive sempre Iaconesi in altri luoghi.
Forse di questi mesi ci resterà - non a noi autori, alla società civile in generale - un bisogno di usare i dati e scavare in quello che raccontano. Il già citato Isaia Invernizzi ha continuato a usare i dati, spostandosi dalla sanità ai trasporti. "Abbiamo analizzato gli #opendata degli incidenti stradali nella città di Bergamo dal 2002 al 2018 per trovare i punti più pericolosi per automobilisti, motociclisti e soprattutto ciclisti e pedoni" scrive su Twitter, rilanciando un'inchiesta che ha portato il Comune di Bergamo a prendere in mano la situazione. Continuando con le analisi sull'utilizzo delle strade, Paolo Beria e Vardhman Lunkar del Politecnico di Milano hanno preso i dati forniti da Facebook per scoprire come si sono mossi gli italiani dopo la fase acuta di restrizione della mobilità. Ne hanno scritto in una decina di pagine piene di grafici che ci hanno portato a chiederci cosa si potrebbe fare se i dati di interesse pubblico fossero messi a disposizione in egual misura da pubblico e privato. Come spesso succede, è una riflessione che ci portiamo per il futuro.
Forse nel futuro ci saranno anche più cittadini che si preoccuperanno anche di dettagli come l'indicizzazione nei motori di ricerca (e no, non stiamo parlando di SEO). "A febbraio del 2020 noi di onData, insieme a AIDR – Osservatorio Anticorruzione e Trasparenza e 'Community Trasparenza siti web PA' abbiamo lanciato un’iniziativa per sottolineare che alcune pubbliche amministrazioni bloccano l’indicizzazione dei motori di ricerca delle pagine della sezione 'Amministrazione trasparente'. Se una pagina web non è presente in un motore di ricerca, è un po’ come se non esistesse, è una trasparenza mancata" scrivono nel loro blog. L’Autorità Nazionale Anticorruzione ha preso atto e ha deciso di far indicizzare anche quelle pagine. (Se vuoi recuperare la prima parte della vicenda scritta da Andrea Borruso, ti lasciamo il link.)
Sicuramente una cosa che vorremmo portarci nella seconda parte del 2020 è il mantra "dati e trasparenza non sono la stessa cosa". La fondazione openpolis ci lavora da un po', ma ti lasciamo un paio di cose che non hanno ricevuto l'attenzione che meritano. "Come abbiamo avuto modo di raccontare in queste settimane, uno dei temi che sta emergendo in maniera abbastanza chiara, è la complessa ricostruzione della catena di comando per la gestione dell’emergenza Coronavirus.
Dalla dichiarazione dello stato di emergenza in poi numerosi attori sono stati chiamati a intervenire come soggetti attuatori affianco del governo e della protezione civile: ministero della salute, l’amministratore delegato di Consip, il commissario straordinario Arcuri e le regioni. Sono quasi 200 gli atti che sono stati presi in questo periodo, per un quadro normativo che proprio in questi giorni sta raggiungendo un momento topico" scrivono in un blogpost in cui presentano la richiesta di avere accesso ai verbali degli incontri della task force fase 2. Perché come si fa a verificare quello che viene fatto, se non si può accederci?
Visto che siamo tuttora in dichiarato stato di emergenza, capire chi decide cosa in questo periodo è fondamentale, non solo a livello giuridico. "Il 31 gennaio del 2020 una delibera del consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di emergenza nel nostro paese. Da quel giorno è iniziata una delle fasi più complesse che l’Italia abbia mai vissuto. L’emergenza Coronavirus non solo sta mettendo a dura prova il nostro sistema sanitario, ma anche quello politico.
Quello che sta colpendo il nostro paese è un evento senza precedenti. Proprio per questo motivo rappresenta un esame molto importante per le istituzioni italiane. La gestione del potere e la catena di comando in questa fase sono soggette a continue evoluzioni. Un sistema chiamato a rapide soluzioni normative in un contesto in perenne cambiamento. Una fase in cui il potere è gestito in deroga alle normali leggi, e in cui decisioni fondamentali vengono prese fuori dai normali paletti normativi.
Governo, protezione civile, regioni, istituto superiore della sanità: tanti diversi soggetti tutti chiamati ad avere un ruolo. Una mappa complessa da ricostruire, che giorno dopo giorno sta gestendo la più grande emergenza sanitaria degli ultimi anni. Uno scenario in cui finalmente si sta inserendo il parlamento, assente in questa prima fase della crisi. Con la riapertura dei lavori, e l’informativa di Conte in aula, camera e senato avranno ora un ruolo maggiore.
In particolare sarà da avviare una riflessione sul modello di gestione implementato in 3 ambiti specifici: l’emergenza sanitaria, quella economica e soprattutto le implicazioni che le varie decisioni prese stanno avendo sui diritti fondamentali dei cittadini (dagli spostamenti alla privacy). Ambiti in cui la trasparenza avrà un ruolo fondamentale per evitare abusi ed inefficienze. [...] In questo senso la trasparenza e l'accountability dovranno rappresentare degli elementi imprescindibili nei prossimi mesi. Bisogna evitare che lo stato d'emergenza, e l'agire fuori dai normali paletti giuridici ed economici, porti a inefficienze, cattiva politica e soprattutto abusi di potere" scrivono sempre da openpolis in un blogpost lungo, ma che vale la pena di legger fino in fondo.
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NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT
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Factfulness. Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo. E perché le cose vanno meglio di come pensiamo di Hans Rosling, Ola Rosling e Anna Rosling Rönnlung, Rizzoli
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Abbiamo visto questo saggio in un tweet. L'autore del tweet ha fatto una foto a una pagina del libro accompagnandola alla didascalia "di dati, epidemie e credibilità". Abbiamo fatto un po' di ricerche e ci siamo trovati davanti una copertina arancione, un gruppo di autori - di cui uno medico - e una nota in apertura che racconta della necessità di ridare peso ai fatti. Ancora non siamo riusciti a leggerlo, ma in questo periodo complicato riflettere grazie alle parole su come percepiamo il mondo e lo interpretiamo è un esercizio quasi di sopravvivenza. Avere uno spirito critico diventa sempre più urgente e importante, si allontana sempre di più dalla pura dimensione intellettuale. E questo saggio promette di aiutarci a raggiungere lo scopo con esempi semplici e materiali didattici migliori di quelli a cui siamo abituati, quindi perché non metterlo nella lista delle cose da leggere?
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Buona lettura!
Erika e Matteo
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Ps. come sempre, se trovi qualcosa di interessante a tema #CivicHackingIT, segnalacelo su Twitter.
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