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Questa pagina è una copia di archivio della newsletter di #CivicHackingIT.
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Tecnologia nella città
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Quasi un anno fa abbiamo sfruttato un numero di questa newsletter per parlare di tecnologie civiche; il pretesto era l'ultima edizione della scuola di tecnologie civiche. In questi mesi, abbiamo letto molto, discusso altrettanto e lasciato fermentare le idee: l'abbinamento tra tecnologia e vita civica è qualcosa che, nel fare o nel raccontare il civic hacking, è impossibile da ignorare. A volte, il tecno-entusiasmo prende il sopravvento e vediamo tutto rosa: un mondo pieno di possibilità, pieno di persone che vogliono fare qualcosa. Più spesso, ci rifugiamo tra le pagine (o i fotogrammi) di una storia futuristica o post-apocalittica per vedere fino a dove l'inventiva umana ha spinto la tecnologia (e perdere conseguentemente qualche ora di sonno).
Questa settimana vogliamo riprendere il tema con una domanda. Secondo te, tecnologie civiche e civic tech sono la stessa cosa? Erika ha cominciato a rifletterci dopo aver ricordato un aneddoto del tempo universitario: durante una lezione, il professore di semiotica raccontò una storiella* per spiegare il significato di "semantica" e del perché le traduzioni, a volte sono complicate. Da cui, la domanda di questa settimana, su cui ti invitiamo a riflettere (e magari farci sapere cosa ne pensi).

* "Voi pensate che Pinocchio sia stato mangiato da una balena, ma in realtà si trattava di un pesce gatto". Questa era la frase d'esordio di un'ora di lezione in cui il professore spiegò ad Erika che, in alcuni paesi della Polinesia, balena era stato tradotto con pesce gatto, non perché non esistesse la parola per balena, ma perché l'area linguistica e di senso che in Italia è coperta dai cetacei, lì è coperta da un altro tipo di pesce, il pesce gatto. 

Un mare di pesci gatto...

Due righe su mySociety

Con la scusa del libro, stiamo approfondendo il civic hacking anche a partire dalle esperienze internazionali. Di Code for America abbiamo già parlato, di mySociety meno. Matteo ha scritto un blogpost in cui ha riflettuto su mySociety e sugli spunti che la sua storia offre anche per le esperienze italiane. "Questo punto di vista è assai attuale: pensiamo a quanto sia forte oggigiorno la tendenza a promuovere la partecipazione in senso lato, come se fosse una cosa positiva di per sé, senza valutarne assolutamente l’impatto. Nella visione del governo aperto non si è messa in discussione la base, il fondamento su cui opera la democrazia rappresentativa. [...] Mi sembra che ci siamo fermati molto all’antefatto, all’utopia — forse — che Internet potenziasse positivamente il modello di democrazia già esistente, senza ragionare su particolari frizioni e senza mai mettere in discussione tutto il contesto. Mi riferisco soprattutto sull'attenzione data al ruolo delle comunità, non tanto sulla retorica del passaggio alla democrazia diretta".

Tecnologie civiche o business civici

"La società civile non ha aspettato la parola d’ordine “tecnologie civiche” per creare tecnologie digitali utili all'innovazione democratica. Da quando si è diffuso questo termine trendy, però, ci sono state moltissime iniziative che dichiaravano di farne parte, senza però rispettare i principi fondanti della democrazia. Le tecnologie digitali non sono democratiche di per sé. Limitarsi ad utilizzarle potrebbe non essere abbastanza per affrontare la scommessa democratica, anzi, proprio il contrario. Avere una fede cieca nella tecnologia apre la porta ad una perdita di sovranità e di controllo democratico". Queste sono solo le prime righe dell'ultima traduzione che ha fatto Erika. Riflettere sulla relazione tra democrazia e vita della città è fondamentale (non solo per non farsi soffiare i diritti da sotto il naso). Se vuoi leggere un altro punto di vista, Luca Corsato qualche tempo fa aveva scritto un blogpost dal titolo Del codice non si butta via nulla, che ti invitiamo a leggere.

A proposito di diritti...

Quando si parla di tecnologie civiche, diritti e compagnia cantante, tendiamo spesso a fare l'associazione mentale con la partecipazione o la democrazia, associazione non del tuttto sbagliata, ma nemmeno del tutto corretta. "Perché la premessa, ben esplicitata dalla scienziata politica argentina Pia Mancini, è fondata: siamo davvero 'cittadini del XXI secolo che vivono con istituzioni del XIX secolo concepite con tecnologie dell’informazione del XV'”.
Fabio Chiusi ha scritto un articolo lungo e parecchio interessante per Valigia Blu dal titolo Come garantire che la tecnologia sia al servizio dell’uomo e della società? che si inserisce quasi perfettamente nelle nostre riflessioni di questi mesi. 
 

NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT

Solo il mimo canta al limitare del bosco di Walter Tevis, Minimum Fax

Data la premessa di questo numero, potevamo esimerci dal consigliarti un bel romanzo distopico? Ovviamente, no. Questo romanzo parla di androidi, di solitudini, di tecnologia fuori controllo. Parla anche dell'umanità che è necessaria sia ai robot che alle persone per funzionare. Scritto nel 1980, è ancora dolorosamente attuale: gli esseri umani si affidano a varie forme di tecnologie per prendere qualsiasi decisione finendo per essere "alieni", radicalmente altri da se stessi e dalle macchine che li governano.
Se non conosci Tevis, poco male (sei in buona compagnia), devi fidarti di noi: questo è un ottimo primo incontro. La distopia ti rende titubante? Forse questo libro ti farà cambiare idea, forse no, comunque è uno sguardo davvero interessante sul (possibile) futuro.
Buona lettura e buon ascolto!

Erika e Matteo
 
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