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Sai cos'è stato il 25 aprile? Un'enorme e coordinato "adesso basta!". Un gruppo di persone hanno deciso che del fascismo ne avevano abbastanza, che l'Italia era meglio di così e che bisognava fare qualcosa.
Hanno individuato un problema concreto, si sono presi cura della cosa pubblica e hanno trovato una soluzione creativa. Lo schema ti sembra familiare? Hai ragione! In piccolo, è quello che fa anche il civic hacking. Per cui, oggi ti chiediamo: il civic hacking è una forma di resistenza? Niente battute sull'elettricità, perché oggi siamo dannatamente seri (nel caso ci sia bisogno di capire perché, Matteo Pascoletti per Valigia Blu ha raccolto un po' di spunti e Andrea Zanni ha scritto un bellissimo pezzo sulla banalità del male e la Resistenza oggi).
Vogliamo tornare alle origini dell'hacking, quelle un po' lontane dalla programmazione, e dare spazio ad alcune sacche di resistenza, alcuni modi per dire "adesso basta! Questo è anche il mio paese e io non sono così!".
A proposito del significato originale di hack, ti consigliamo di rileggere L’hacking è un atteggiamento, non un insieme di capacità: perché il civic hacking è la chiave per la creatività contemporanea che Erika ha tradotto un po' di tempo fa.
"Vedi, in effetti, hacking originariamente non aveva niente a che fare con la programmazione dei computer. A dire il vero, 'hack' era un termine usato per descrivere le burle inventate dagli studenti del MIT: i loro scherzi erano progetti o prodotti che prima o poi finivano, ma permettevano ai partecipanti di divertirsi anche, semplicemente, partecipando. Gli hacker del MIT descrivono quello che noi chiamiamo hacking con il termine 'cracking'. [...] Continuando su questa strada, ho trovato una citazione fantastica nella definizione di Wikipedia di hacker: 'fare hacking implica una qualche forma di eccellenza, ad esempio esplorare i limiti di ciò che è possibile, in modo da fare qualcosa che abbia un senso, ma che sia anche eccitante. Le attività che implicano un’intelligenza giocosa possono ritenersi di stampo hacker'”.
Quindi, protesta, sì, ma con giocosa intelligenza.
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Adesso basta con una certa retorica!
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Chissà cosa pensavano le persone comuni durante quel famoso 25 aprile... Al di là della Storia con la esse maiuscola, saranno stati presi dalla quotidianità e dalle migliaia di storie con la esse minuscola che si saranno accatastate fino al suddetto basta. Nelle generazioni precedenti alla nostra ci sarà stato qualcuno che diceva "mah, non è che si stia così male, nonostante tutto...", ma noi non vogliamo parlare di queste persone: vogliamo parlare di quelle che hanno pensato "dobbiamo cambiare le cose per forza!". Sperando che fra cinquanta o sessanta anni ci siano dei giovani che si chiedono "ma voi cosa stavate facendo nel 2019?", approfittiamo per facilitare la ricerca.
Come in passato, ci sono persone che vivono le proprie storie pensando che oggi non si sta così male. Altre che creano piccole, ma importanti, sacche di resistenza. Simona Melani, una che di lavoro si occupa di moda, ha ispirato You hate, we donate con un piccolo, geniale hack: donare 10 euro ad Arcigay a nome del ministro Fontana (ne avevamo già parlato un po' di tempo fa, ricordi?).
L'idea di You hate, we donate amplifica l'hack di Simona: "Ad ogni dichiarazione o atto d’odio da parte di un personaggio pubblico partono le donazioni di massa a quelle associazioni che difendono i diritti di chi è stato attaccato con le parole o con i fatti. Ogni offesa non solo diventa lo spunto per reagire ma genera letteralmente più soldi e più sostegno per chi è stato offeso".
L'ultimo aggiornamento sui social è di fine marzo, ma questo - come molti atti di hacking - è perfettamente replicabile, una volta capito il principio.
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Adesso basta con il sentirsi impotenti!
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Lo scuotere la testa borbottando fra sé e sé è un gesto pieno di potenza, non per chi lo esegue, ma per qualcun altro. D'altra parte, dopo tutti questi decenni, chi se lo ricorda più se qualcuno ha dissentito durante l'Operazione Piave, che ha portato all'impiccagione di 31 ragazzi per le strade di Bassano del Grappa? Eppure qualcuno ci sarà stato...
Le parole hanno questa buffa proprietà di cambiare la nostra percezione della realtà. Non ci credi? "Ve li ricordate gli albanesi? Arrivarono all'improvviso, 25 anni fa. Vennero tutti insieme. Prima non c’erano e poi, di colpo, erano tutti qui. Vennero su delle navi ed erano talmente in tanti che le navi quasi non si vedevano più" è l'apertura di un pezzo di Massimo Cirri per Il Post. Continua chiedendosi da quanto tempo non sentiamo parlare di albanesi. Eppure sembrava l'emergenza insostenibile degli Anni Novanta...
Ecco, perché i flussi migratori e le condizioni in cui alcuni esseri umani attraversano il Mediterraneo non finiscano nel dimenticatoio è importante non smettere di usare parole potenti, come #cipassalafame. "#cipassalafame è un’iniziativa collettiva nata dal bisogno di attivarci, come cittadini, come essere umani, dedicando parte del nostro tempo a una causa per noi vitale, quella della libertà di movimento e del diritto all’asilo. Vogliamo continuare a mantenere attiva la nostra indignazione ma anche accompagnarla ad azioni concrete, come è stato il digiuno del 28 gennaio". Un piccolo hack per rendere visibile l'invisibile (che è una delle definizioni che sono state date di civic hacking).
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Adesso basta con "è sempre andata così"!
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Sai quante delle biografie su Wikipedia sono di donne? Stando alla World Bank la percentuale di femmine nel mondo è di poco meno del 50% (con variazioni anche sostanziali tra i vari paesi, ma non perdiamoci in piccolezze). Con questo dato in mente, rifacciamo la domanda, quante delle biografie su Wikipedia sono di donne? Se la tua risposta è stata poco meno del 50%, sei lontano dalla realtà di circa il 30%: solo il 17.81% della versione inglese dell'enciclopedia sono voci che riguardano le donne. Non ci infileremo nei meandri dei bias che governano la nostra esistenza, ma ti parleremo di una donna che sta contribuendo a cambiare le cose. Si chiama Jess Wade, è una fisica e passa il suo tempo libero a creare voci su Wikipedia che parlino di donne - in particolare di donne negli STEM. Un piccolo hack, una piccola sacca di resistenza, un modo piccolo per dire che "è così e basta!" non è una scusa accettabile. Se vuoi leggere qualcosa di più su di lei, Giada Biaggi ne ha scritto per Elle, Francesco Merola ne ha scritto per Repubblica, Melody Kramer per il blog di Wikimedia Foundation - la fondazione dietro Wikipedia.
E, mentre leggi di lei, chiediti cosa sarebbe stato di noi se qualcuno negli anni Quaranta non avesse creduto che le cose si potevano cambiare, almeno un pochino.
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NELLA LIBRERIA DI #CivicHackingIT
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Storia di una passione politica di Tina Anselmi, Sperling&Kupfer
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Fortunatamente, la letteratura italiana è piena di storie sulla e della Resistenza. Non solo Pavese, Calvino e altri eminenti intellettuali, ma anche tante persone comuni hanno raccontato cosa è significata per loro, com'erano le loro giornate e di cosa era davvero il 25 aprile (e tutto quello che c'è stato prima). Abbiamo scelto di consigliarti qualcosa di Tina Anselmi in modo completamente arbitrario: come abbiamo già scritto, in un certo senso, la conoscevamo. Sappiamo esattamente dov'era casa sua e quando parla della strada che doveva fare in bicicletta, sappiamo quanti sono i chilometri, quali sono le strade e stradine che avrà preso, possiamo anche immaginarci dove si sia fermata a bere un bicchiere d'acqua.
Abbiamo scelto questo libro perché parla di prima e dopo, a dimostrazione che il 25 aprile era un giorno in una serie di giorni. Speciale sì, ma comune nella sua normalità. Non un grande risolutore, ma la fine e l'inizio di una serie di decisioni "banali" che hanno dato risultati straordinari. La banalità della Resistenza.
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Buona lettura!
Erika e Matteo
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Ps. come sempre, se trovi qualcosa di interessante a tema #CivicHackingIT, segnalacelo su Twitter.
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